Emergenza carceri al tempo del ‘Coronavirus’? Già dimenticata… – Quotidiano di Foggia web

Marzo 11, 2020

Emergenza carceri al tempo del ‘Coronavirus’? Già dimenticata… – Quotidiano di Foggia web

Hanno destato parecchia preoccupazione nell’intero Paese le rivolte dei detenuti scoppiate in diversi istituti di pena sparse lungo lo Stivale, da Modena a Foggia, passando per Napoli e Bari, per le scarse condizioni igieniche per fronteggiare il virus in atto, certo, ma anche per la decisione del Governo di sospendere i colloqui coi famigliari. Un provvedimento che, a parte le implicazioni impreviste e forse fin troppo sottovalutate da chi aveva l’obbligo di prevedere le reazioni sfociate perfino in evasioni di massa, dovrebbe in ogni caso indurre a prendere provvedimenti ‘urgenti’. Soprattutto a tutela degli agenti della polizia penitenziaria, come afferma senza stare a girarci troppo attorno il presidente dell’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia, Vincenzo Gesualdo. “Ci sono agenti che sono stati sequestrati per più di dieci ore” -spiega Gesualdo – “ma anche dove non s’è giunti a questi eccessi, il personale ha subito effetti deleteri sul piano psicologico. Parliamo d’una categoria fortemente esposta al fenomeno del ‘burnout’, che affligge molti agenti della polizia penitenziaria e che non va né trascurato, né sottovalutato”. Il “burnout”, occorre spiegarlo subito, è generalmente definito come sindrome da esaurimento emotivo, di depersonalizzazione e derealizzazione personale, che può manifestarsi in tutte quelle professioni con implicazioni relazionali molto accentuate, tipico del rapporto recluso/carceriere che, già in condizioni normali, viene considerato un tipo di stress lavorativo. Ma torniamo alle condizioni di vita all’interno delle nostre carceri, il cui sovraffollamento è una delle motivazioni più gravi per le quali i detenuti hanno protestato, l’altro giorno, destando come detto viva preoccupazione negli operatori della giustizia. Questa condizione riduce lo spazio vitale elevando i livelli di ansia e aggressività e comporta uno stato di continua tensione emotiva costante che influisce inevitabilmente sulle relazioni con i detenuti, ma anche tra gli agenti penitenziari, con le famiglie, gli amici e la medesima istituzione penitenziaria. <<Il lavoro all’interno degli istituti di pena determina uno stress che necessita di un supporto psicologico, ancor di più quando eccessivo e prolungato”, aggiunge il presidente degli psicologi pugliesi. Ma lo stesso discorso vale anche per i detenuti. Circa seicento psicologi, impegnati negli istituti penitenziari italiani, hanno a disposizione solamente una trentina di minuti all’anno per ciascun detenuto. Davvero troppo pochi. Nonostante la crescita esponenziale non è stata rafforzata l’assistenza psicologica, anzi è stato ridotto l’orario di lavoro degli specialisti del settore. “Un’opera di prevenzione, mediante il supporto della figura dello psicologo, è fondamentale affinché il carcere continui ad essere considerato un’istituzione in grado di riabilitare l’individuo da un punto di vista sociale e affettivo e contribuisca a ridurre il fenomeno dei suicidi che colpisce detenuti e gli stessi operatori dell’istituzione penitenziaria, minimizzando i fattori di rischio”, conclude Gesualdo. Scommettiamo che già a partire da quest’oggi, presi come siamo dalla gravità della situazione sanitaria e non dell’intero Paese di fronte all’emergenza ‘Coronavirus’, di carceri, problemi esistenziali di detenuti e agenti penitenziari non si parlerà più? Scommessa vinta fin troppo facilmente, purtroppo…

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